GEOmedia 6 2014 - DATI GEOGRAFICI APERTI: A che punto siamo?

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Il dato prigioniero

Ritorno in argomento sul tema degli Open Data geografici. In un post di qualche tempo fa esponevo il perché a mio parere in Italia i dati geografici non possano, ma debbano essere liberati. Ho cercato di mettermi dalla parte dei dati prigionieri e dei loro carcerieri e dare risalto a tutte le ragioni che si opponevano ad una liberazione. Come portavoce di un dialogo meditatamente astratto, volto a mediare le parti in causa, affrontavo gli argomenti che avrebbero potuto convincere me stesso ed i più agguerriti carcerieri e gestori di una liberalizzazione, più che necessaria, ad evidenza spontaneistica, se non casuale e disorganica, valutandone i pro ed i contro.
Ho ricevuto molti commenti, più che altro denigratori, stimolanti la discussione, reimmaginando e rappresentando ad interlocutori non coinvolti, e ad altrettanti costrittori della veicolazione dei dati, le argomentazioni e le ragioni non dette, partecipando al dibattito in prima persona: delucidazioni, idee, contrasti e, soprattutto, estemporaneità ed incertezze.
Gli eventi hanno dimostrato che i silenti senza forti obiezioni, partecipi di una presa di posizione diretta e perfino gli stessi operatori hanno mantenuto il più assoluto riserbo, quasi implicitamente invitandomi a chiudere la risollevata ed annosa questione, che non andava né accampata né affrontata, così come succede sempre in Italia, e suggerendomi in breve, in vista di tempi migliori, di trattenermi a mia volta da un superfluo brontolio equivalente a: “scoperchiare le pentole”.
Oggi, a distanza di quattro anni, ci è concesso constatare come la storia degli Open Geo Data si
sia arenata non solo sul piano legislativo, di programmazione governativa e di studio, ma anche delle direttive e consultazioni europee, preordinata da labili decreti di tamponamento, strumenti regolati dalla provvisorietà e dall’urgenza di ristabilire un’oggettività massiva quanto frammentaria, che azzera le possibilità offerte da tecnologie deprivate perfino di assistenza ordinaria, che poco hanno a che vedere con attuazioni, complessivamente ed organicamente, interagenti dalla base al vertice, di coordinamento e riordino, in cui il cittadino non sia un bersaglio, invece che tutelato da normative raccolte in testi unici tempestivi.
Non vorrei entrare di nuovo nei termini portando elementi a riprova, ma sarebbe sufficiente elencare la disastrosa situazione dei sistemi GIS per la certificazione di Piano Regolatore, documento molto ambito che avrebbe dovuto con certezza sovrapporre Catasto e Piano Urbanistico, in genere finalizzato a costruire od occupare un suolo: la sua organizzazione attuale dipende più che mai dai punti di vista. Il cittadino che ne necessiti potrà compiere una ricerca su Internet e vedersi sommerso da decine di iniziative e progetti, locali, regionali, miste e perfino piratesche, ma i siti istituzionali, quelli dove i progetti dovrebbero poi confluire per dare e ricevere realizzazione ed effettiva utilità, non rispondono offrendo reperibilità, in qualche caso conformano call center meno razionali di un comune centralino telefonico ad obbligare l’utenza ad interagire a vuoto, perché il sistema è stato interrogato fuori limite di tempo, nessuno sembra più conoscere la validità e la decadenza di un atto informatizzato, e soprattutto la responsabilità. Ne sono certo, ognuno avrà provato anche per la sua città!
L’infrastruttura geografica italiana ha bisogno di regia e armonizzazione per essere “liberata” ed un intervento deve essere programmato adesso più che mai, evitando di divenire nel corso del tempo condizionato alla sola emergenza della calamità, come potrebbe essere un terremoto o un’alluvione, in termini di efficacia, prendendo coscienza del fatto che anche la prigionia dell’informazione geografica territoriale può diventare di per sé catastrofica.
I vari tentativi finora effettuati per ripristinare un coordinamento degli organi cartografici, basati quasi sempre su volontarismo di gruppi di esperti, sono purtroppo ad un punto di stallo, trovandosi di fronte ad un vuoto legislativo colmato solo da interventi non armonizzati che, oltre a contravvenire alle normative europee quali INSPIRE, duplicano la spesa nel settore.
Giovani Biallo nel suo Focus di apertura a questo numero riporta una chiara visione di quanto sia successo in questi anni, evidenziando come dopo l’entusiasmo iniziale, una azione priva di solidi riferimenti legislativi sia scivolata confermando reticenze o semplice incompetenza generata dalla mancanza di chiarezza di direttive nazionali vagliate e condivise. Gli organi cartografici sono praticamente assenti non avendo ancora a tutt’oggi messo a disposizione dati open unificati, le Regioni, pur essendo più attive, pubblicano dati difformi tra loro, vanificando di fatto i principi di base che hanno trovato nell’iniziativa INSPIRE europea un punto di ulteriore coesione, le Provincie sono in chiusura e i Comuni sono ancora lontani da tutto ciò.
Il bello è che gli ingredienti per una riorganizzazione ci sono tutti, leggi europee, nazionali, studi scientifici, dati, sistemi di controllo e verifica dei dati, anche le esigenze del mercato, ma manca solo una grande cabina di regia.
Nella conferenza Open Geo Data a Roma il 19 febbraio prossimo si parlerà di valide esperienze di liberazione alle quali potranno far riferimento anche tutti quei lettori che non siano direttamente impegnati nelle azioni di liberazione dei dati geografici.

(editoriale di Renzo Carlucci)